di Alberto Castaldini

giornalista e docente nella Facoltà di Teologia Greco-Cattolica
dell’Università di Cluj (Romania)

Nella collaudata programmazione “provocatoria” di Netflix non poteva mancare il tema dell’esorcismo e della lotta fra il bene e il male, con una serie del regista e sceneggiatore polacco Bartosz Walaszek, specializzato in film di animazione. Walaszek è un fantasioso creatore di cartoni animati, con una predilezione per l’horror, il trash e l’apocalittico. Come la serie del 2020 approdata ora in versione italiana sul noto servizio di streaming Netflix, piattaforma diffusissima nel nostro Paese. Il titolo polacco non necessitava di traduzione: “Egzorcysta”, L’esorcista, ma è stato reso in inglese con Bad Exorcist. Due stagioni, di 13 episodi l’una. Ogni episodio dura fra i 12 e 15 minuti circa. Dopo aver visionato la serie, riteniamo che meriti in questa autorevole sede un breve commento perché l’antidoto contro la stupidità spesso non è sufficiente a neutralizzare la diffusione di prodotti pericolosi, soprattutto fra le giovani generazioni.

Protagonista della serie è Bogdan Boner, un laico “esorcista” di aspetto rude e trasandato, gran bevitore (oltre che con altre debolezze), che si avvale di due collaboratori: Marcinek, un apprendista in carne e ossa, e un demonio che ha deciso di collaborare, il cui nome è – che caso… – Domino. Fra i personaggi “di supporto” spicca padre Piotr Natan (“dono di Dio”, curiosamente lo stesso significato del nome slavo Bogdan), un prete esorcista decisamente anticonformista nell’aspetto e nei modi, principale concorrente di Boner ma disponibile a lavorare assieme a lui nei casi più gravi.
I dialoghi sono pesantemente conditi da espressioni volgari, rese in lingua italiana, e il turpiloquio, oltre che la passione per i superalcolici (che probabilmente hanno ispirato la creazione della serie) e il rock death metal, sono i dati che accomunano umani e angeli caduti nel confronto quotidiano fra terra e inferno. Precisiamo che la serie sarebbe vietata ai minori di 18 anni – ma non è difficile immaginare come molti adolescenti la vedranno. Confidiamo che li possa da subito annoiare.

L’inferno descritto dalla serie è una specie di mondo parallelo a quello reale, dove costumi, abitudini, vizi, e quant’altro corrispondono a quelli degli uomini. I demòni vivono in grandi palazzoni, simili ai blocchi di alloggi sociali che ancora oggi sorgono nelle periferie dell’Est europeo. E per campare si avvalgono persino del “lavoro a distanza” in tempo di Covid, compresa l’azione straordinaria sugli esseri umani. A capo di questo regno, dove il cielo è perennemente rosso infuocato come in un tramonto sospeso, c’è il “Sovrano dell’Inferno” (così nella sinossi della serie), cioè Belzebul (il cui nome è volutamente storpiato in italiano per suscitare greve ilarità). Tema ricorrente – come dicevamo – è l’uso e abuso di alcol da parte di umani (clero incluso) e demòni, che condiziona i rapporti fra i due mondi, scatenando rappresaglie (ma l’alcol è una piaga sociale da stigmatizzare o piuttosto un veicolo di presa per il pubblico?). E Boner li esorcizza, prediligendo se necessario l’utilizzo sbrigativo di fucili a pompa (una sorta di Pulp fiction infernale), con cui ammazza i diavoli con effetti splatter (decollazioni, schizzi di sangue e fuoriuscita delle interiora) tanto che si deduce siano dotati di… corpo. Diffusa e ricorrente la simbologia occulta, come nel ricorrente grande specchio – sorta di portale che collega i due mondi – sui cui campeggia il pentacolo rovesciato. La sceneggiatura è qua e là fantasiosa. Non manca una rivisitazione dei “demòni incubi”, ma non in chiave onirica, tanto che una donna si unisce carnalmente a un demonio, all’insaputa del marito, per poi partorire in clinica una creatura demoniaca che semina terrore e strage. Anche in quel caso i cacciatori di demòni – definizione più appropriata di quella del titolo della serie – faranno piazza pulita con i soliti effetti “pulp”. In uno degli episodi la scena si sposta persino a Castelgandolfo, dove un demonio “ateo” (sic) prende di mira Papa Francesco. Gli esorcisti (quelli – diciamo così – “veri”) vengono tutti uccisi, le guardie svizzere fanno ben poco, ma il Papa si difende con una specie di kalashnikov che spara acqua benedetta e viene soccorso dall’arrivo dei soliti eroi annebbiati dall’alcol, muniti persino di un tirapugni con crocifisso. La narrazione si fa sempre più penosa, e in un episodio il “Sovrano dell’Inferno” rapisce il figlio illegittimo dell’“esorcista” Boner, lo ricatta per fargli catturare un angelo in modo da prendere le sue ali. In un’altra puntata due demòni posseggono l’assistente Marcinek, e Boner, per liberarlo, gli inocula un vaccino (non siamo in anni pandemici?) con effetti ancora peggiori. Del resto a Bogdan Boner non manca la fantasia e arriva a fingere la propria morte per fermare due demòni in combutta col proprietario di un’impresa di pompe funebri per rubare le anime dei trapassati.

Non vogliamo annoiare chi legge con ulteriori amenità di questa serie targata Netflix (piattaforma che abbonda di pellicole “esorcistiche”, in realtà avvilenti e disperanti horror), ma la visione degli episodi tradisce spesso dettagli iconici non casuali: al di là della ricorrente simbologia occulta e mortifera, in uno degli episodi le figure angeliche del “paradiso” sono stranamente munite di chele e pungiglioni di scorpioni. Per non parlare della puntata in cui Boner fa un salto indietro nella storia di mille anni, all’epoca del sovrano Mieszko I, fondatore della nazione polacca. L’azione si svolge alla vigilia del battesimo della Polonia, mentre le forze delle tenebre stanno attaccando la roccaforte del principe. La squadra “esorcisti”, per rovesciare le sorti della battaglia, deve raggiungere la capanna di una avvenente strega che li aiuterà solo in cambio di favori sessuali. In questo modo la Polonia nascente verrà salvata dalle forze oscure che ne impediscono la cristianizzazione. Che altro aggiungere dopo aver visionato questa melassa animata data in pasto al pubblico italiano di Netflix? Senza ombra di dubbio, in buona parte dell’Europa post-moderna e relativista, a occidente come a oriente, regna una gran confusione anche sui suoi schermi.