di Alberto Castaldini[1]
Il fenomeno attualissimo (e antico) dell’influsso dell’esoterismo sul costume e la società non va sottovalutato. Allo stesso modo non ne va sovradimensionata la portata. Come ogni fenomeno socioculturale, esso va esaminato osservandone le espressioni pubbliche, mediatiche (sempre più frequenti e invasive), cogliendone allo stesso tempo le manifestazioni sottotraccia, incluse quelle “operazioni” letterarie e cinematografiche che piacciono a un vasto pubblico e dividono l’opinione della critica o l’analisi degli esperti.
È il caso della celebre saga di Harry Potter, l’apprendista maghetto britannico contornato da una folla di personaggi, che da più di un quarto di secolo affolla gli scaffali delle librerie (e l’immaginario mondiale).
Ricordiamone anzitutto i numeri. I volumi che compongono questa saga, ideata agli inizi degli anni ‘90 e pubblicata, anche in Italia, fra il 1997 e il 2007, sono stati tradotti in 80 lingue, compreso il greco antico e il latino. Complessivamente fino al 2018 la serie aveva venduto 500 milioni di copie in tutto il pianeta. I lettori e i fan di Harry Potter sono equamente distribuiti fra ragazzi e adulti: il prodotto non conosce età e confini generazionali.
La saga, che, come vedremo, ha fatto la fortuna della sua autrice (e non solo), è stata paragonata per i suoi contenuti a un romanzo di formazione, perché i fatti narrati scandiscono l’evoluzione psicologica di un gruppo di adolescenti (apprendisti stregoni in un collegio scozzese), colta nel loro misurarsi con temi di portata esistenziale: l’amore, la morte, il libero arbitrio, il potere, la discriminazione, il “bene” e il male. Tutto ciò ha suscitato critiche, elogi e dibattiti, soprattutto in relazione a valori e insegnamenti trasmessi dall’opera. C’è chi ha visto delle analogie con le opere di C.S. Lewis e J.R.R. Tolkien. Certamente il sostrato su cui la madre letteraria di Harry ha piantato e sviluppato la sua vena creativa è quello del folklore e dei miti britannici, ma paragonare la sua produzione ai più celebri classici della letteratura fantasy non ci sembra corretto: manca ad esempio quel respiro religioso-morale e quel richiamo alla trascendenza che nelle pagine del cattolico Tolkien e dell’anglicano Lewis spesso emergono.
Come è noto la saga di Harry Potter ha inciso potentemente sull’immaginario di una generazione di ragazzi. La popolarità del maghetto occhialuto, armato di bacchetta e buoni sentimenti, ha favorito la nascita di piattaforme web, di un nuovo genere sportivo (il quidditch: con scope in mezzo alle gambe e una palla), di un genere musicale, il wizard rock, e di videogiochi. Per non parlare delle montagne di gadget. E il cinema? La serie cinematografica prodotta dalla Warner Bros. è stata una delle più remunerative della storia: 7,7 miliardi di dollari. Naturalmente non le sono mancati numerosi premi.
Ma veniamo all’artefice di questo fenomeno planetario, giacché definirla autrice o scrittrice sembrerebbe quasi riduttivo. Con la saga di Harry Potter ci troviamo infatti di fronte a un’operazione “letteraria” che a chiunque abbia una minima dimestichezza con case editrici, redazioni, editor, lettori e revisori, non può non sembrare straordinaria. Per alcuni versi ricorda l’impresa di Umberto Eco con il romanzo Il nome della rosa (più di 50 milioni di copie vendute, tradotto in 40 lingue). Ma anche il testo del disincantato Eco (all’epoca già affermato accademico), un po’ volterriano un po’ iniziatico, impallidisce di fronte alla trovata letteraria dell’inglese J. K. Rowling, annoverata nel 2011 dalla rivista “Forbes” fra le donne più ricche del Regno Unito.
Joanne Rowling, le cui prese di posizione sui diritti civili hanno alimentato – come vedremo – dapprima aspre reazioni e, in seguito, curiose rivalutazioni della sua opera in ambito cattolico, pare sia stata da sempre dotata di fervida fantasia. O almeno così si è descritta in numerose interviste. Nata nel 1965, a 12 anni, bambina prodigio quasi predestinata, si cimentò in un romanzo dove parlava di sette diamanti … maledetti. E proprio negli anni della scuola i personaggi che ruotavano attorno al suo ambiente natale nel sud-ovest dell’Inghilterra le avrebbero ispirato i protagonisti della saga che avrebbe fatto la sua fortuna. Diventata adulta andò a Londra per lavorare ad Amnesty International, e viaggiando in treno le venne l’ispirazione letteraria decisiva. Durante le pause pranzo iniziò così a scrivere il romanzo Harry Potter e la pietra filosofale, che rimase incompiuto nel cassetto per qualche anno. Nel frattempo, Joanne si trasferì in Portogallo, si sposò, ebbe una figlia, si separò e si trasferì in Scozia. Iniziò così un periodo molto difficile: senza lavoro, depressa e in povertà. In quella non facile situazione – narrano le cronache – la Rowling amava fare delle lunghe passeggiate perché la figlia si addormentasse nel passeggino, e raggiungeva il pub del cognato dove si mise di impegno a terminare il romanzo iniziato nelle pause pranzo. Joanne, infatti, si convinse che la sua stesura fosse la cura migliore per superare la crisi. Terminò il libro nel 1995. Cercò di pubblicarlo presso qualche editore, ma invano. Trovò un agente letterario, ma le case editrici rispondevano che era troppo lungo. Ma Joanne, come il suo figlio letterario Harry, non si perse d’animo e alla fine il libro uscì, dopo essere stato accettato da Bloomsbury, una casa editrice allora poco nota. Il primo capitolo della saga uscì il 25 giugno 1997, al termine di una Midsummer (singolare coincidenza…) che si è rivelata decisamente propizia al suo successo (120 milioni di copie vendute).
Gli anni passano in fretta, la fama si cristallizza, e vent’anni dopo il primo volume, conclusa ufficialmente la saga, nel dicembre 2019, alla vigilia della pandemia di Covid, mentre era in corso lo sviluppo prepotente dell’ideologia Woke con la sua “allerta” verso le ingiustizie, fra Social Media, diritti civili, e attivismo politicamente corretto, la Rowling sollevò grande scalpore con alcune dichiarazioni “contro-corrente”.
La scrittrice, ormai celebre, difese pubblicamente una ricercatrice del Centre for Global Development, Maya Forstater, alla quale non era stato rinnovato il contratto di lavoro per aver sostenuto che il sesso biologico è un dato oggettivo, naturale, reale, e che le donne trans non sono realmente delle donne. La Rowling denunciò l’ingiusto licenziamento della donna, accusata di aver criticato una legge del parlamento britannico (il Gender Recognition Act), in vigore dal 2005, che consentiva alle persone di dichiarare liberamente la propria identità sessuale sulla base della propria preferenza personale. I media e molti fan l’accusarono perciò di transfobia. Pochi mesi dopo, nel giugno 2020, rincarò la dose, affermando che “se il sesso non è reale, allora non può esserci alcuna attrazione tra persone dello stesso sesso. Se il sesso non è reale, si cancella la realtà vissuta da tutte le donne del mondo”. Non sono mancate esternazioni della scrittrice sui propri social, in cui – ad esempio – non accettava che si permettesse “agli uomini che credono o si sentono di essere donne” di accedere ai bagni riservati alle donne. Eventualmente essi avrebbero dovuto possedere un documento che attestasse il loro genere. Dichiarazioni che, in quanto rese da una scrittrice nota in tutto il mondo, come era previsto (forse anche dalla stessa loro autrice), hanno scatenato un putiferio.
Da qui aspre critiche e, allo stesso tempo, riflettori puntati sulla Rowling. La cosiddetta cancel culture, oggi dilagante, ha indotto persino a togliere dalle copertine della saga il suo nome, per non urtare la sensibilità Lgbt+. E ciò nonostante che uno dei personaggi centrali della saga, il mago Albus Silente, mentore di Harry, sia dichiaratamente omosessuale.
Ricordiamo che Joanne Rowling in passato aveva attirato le critiche di quanti ritengono che i contenuti della sua celebre saga siano promotori del mondo magico nella cornice della neo-stregoneria, al punto da indurre la scrittrice – autodefinitasi cristiana – a dichiarare di credere in Dio e non nella magia. Ciò sebbene in un’intervista del 2007 a un giornale olandese avesse spiegato che quando frequentava l’università si era progressivamente allontanata dalla Chiesa (d’Inghilterra), “infastidita della stucchevolezza delle persone religiose”. Poi, probabilmente per le difficili esperienze vissute, si era riavvicinata alla pratica religiosa. Infine, il successo di Harry Potter – non dimentichiamo che l’autore di un libro si rispecchia nei suoi personaggi prediletti – ha forse ulteriormente plasmato il suo credo.
Le dichiarazioni della Rowling sulla questione gender come hanno prodotto reazioni negative, allo stesso tempo hanno sorpreso in senso positivo, soprattutto alcuni ambienti cattolici al punto da stimolare una rilettura positiva della saga. Non che mancasse già in ambiti ecclesiali un occhio indulgente e “aperturista” sulla serie, ma di recente la rivisitazione è stata ospitata anche su periodici e giornali insospettabili per il loro consueto rigore, come “Il Timone”. Proprio questo convenzionalismo (dopo le esternazioni della Rowling) sembra aver favorito una azzardata rivalutazione delle gesta di Harry Potter e, analogamente all’“anticonformismo” di testate cattoliche più “dialoganti”, si è evidenziata una sua supposta difesa di “antichi valori”.
Se il quadro descritto dalla Rowling è di fatto un mondo magico ed esoterico (“fatato” per alcuni apologeti), la rivista “Rogate ergo” (n. 10/2022) ha precisato che si tratta di una lente per osservare meglio il presente, e che la magia non è che una metafora sulla crescita dell’individuo, sul suo ingresso nel mondo reale. Altro che tentazioni diaboliche: nel collegio di Hogwarts, secondo la rivista di animazione vocazionale, si studia “per battersi contro il male con responsabilità, senza magiche bacchette”. Peccato che la saga, nonché la sua trasposizione cinematografica, sia tutto uno sbacchettare. Sempre su “Rogate ergo” si afferma poi che i 7 volumi della saga sarebbero uno strumento di discernimento. Difficile oggi distinguere il bene dal male; o il rispetto dagli atti di bullismo fra coetanei. Harry rende così alle giovani generazioni un buon servizio. Così come Silente, “il maestro spirituale, la guida”, che aiuta a discernere la propria vocazione per intraprendere un cammino di perfezione e raggiungere una “maturità umana”. In sostanza la saga della Rowling è diventata un vademecum per un “buon cammino vocazionale”. Insomma, dal Direttorio ascetico dello Scaramelli siamo passati alla Camera dei segreti di Harry Potter: parola di preti e catechisti.
Sulla presa di posizione “sessista” della Rowling, e dunque sulla visione stereotipata della sua saga, oggetto di aspri attacchi da parte di studiose e femministe, si è soffermata, come dicevamo, la rivista di apologetica “Il Timone” nell’ottobre del 2022. Nei libri della Rowling, per i suoi detrattori, vi sarebbero troppi personaggi maschili in ruoli di comando, e un’accademica americana ha persino analizzato dal punto di vista del “gender” l’intera serie. A detta della studiosa, le sole donne con ruoli “apicali” sarebbero la madre di Harry e la potente strega “purosangue” Molly Weasley. E inoltre, anche la saga ha nel titolo un nome maschile… Pure Hermione Granger, compagna di studi di Harry, secondo un’accademica canadese presenterebbe tratti troppo poco emancipati.
“Il Timone” (a firma Giuliano Guzzo) stigmatizza queste critiche, evidenziando piuttosto un “aspetto virtuoso” della saga, ossia come essa insegni a ricercare il bene nella vita. Inoltre, le avventure del maghetto ci ricordano che maschi e femmine sono diversi. Insomma, nel pentolone di Hogwarts ci sarebbe tanto buon senso (lo ricorda a sua volta Roberto Manfredini), per la difesa del genere sessuale come dato oggettivo da parte di una scrittrice diventata perciò nemica del mainstream (lo stesso che ha fatto per altri versi in passato le sue fortune), poiché oppostasi alla propaganda transessuale. Il dossier autunnale de “Il Timone” passa poi a cogliere le “tracce di fede” nell’autrice della saga, partendo – come abbiamo fatto in questa sede – dalla sua biografia (in sé scarna fino al “botto” editoriale). Ebbene, la Rowling con la sorella si guadagnava qualche sterlina pulendo la chiesa di Tutshill, la località del Galles dove vissero per un periodo. E alcuni dei nomi contenuti nei registri parrocchiali – che le due sorelle firmavano “a ripetizione” – vennero poi utilizzati nella saga potteriana (davvero, questa, una garanzia “dottrinale”). Tutti segnali, a detta di Emiliano Fumaneri autore dell’articolo, di una fede solida e radicata. Poi, come s’è visto, seguì la crisi interiore e la riscoperta del credo, confidata pubblicamente nel 2007. Ciò, fa concludere sul “Timone” che la fede cristiana della Rowling è sì “combattuta, ma comunque viva”. E ricorda come nella trama dei romanzi non manchino citazioni evangeliche e paoline (come sulla lapide dei genitori di Harry: “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte”, 1Cor 15,26). A riguardo, P. Francesco Bamonte, nel suo volume Il cristianesimo contemporaneo a confronto con esoterismo, occultismo e satanismo (Edizioni Messaggero, Padova 2020) ritiene che questo passo scritturale – come l’altra citazione (Lc 12,34; Mt 6,21) presente nella saga – non costituisca una garanzia di fede. I passi biblici, infatti, possono venire utilizzati anche in senso gnostico-esoterico, e l’atteggiamento di Harry davanti alla tomba dei genitori non denota una sensibilità propriamente cristiana, avvalorata dalle considerazioni successive di Hermione.
Da ultimo, sul “Timone” si sottolinea come la scrittrice abbia sempre respinto ogni accusa di occultismo e che – come dichiarò in un’intervista nel 2003 –, mai e poi mai uno delle migliaia di piccoli lettori incontrati, “coperto di pentagrammi”, le ha mai proposto di “sacrificare un capro” (ci mancherebbe altro…). A ciò va aggiunta la generosa filantropia della Rowling, “in ottica cristiana”.
Il dossier del “Timone”, attraverso Mario A. Iannacone, conclude questa rilettura con piglio sì apologetico, ma non a favore della Rowling. Si sottolinea perciò come l’immaginario della saga sia neostregonico “nell’essenza”. L’armamentario c’è tutto: formule magiche, amuleti, arti occulte, spiriti ed evocazioni. Diversamente, nelle Cronache di Narnia di C.S. Lewis o nel Signore degli Anelli di Tolkien, pur in un contesto epico-fantastico, le formule incantatorie non ci sono. Assente la lettura di grimori o l’uso abituale di bacchette e contro-sortilegi. Il bene e il male sono nettamente distinti e per riconoscerli non è necessario il discernimento di Silente. Dunque, la Rowling avrebbe costruito il suo successo planetario su una sensibilità esoterica e neognostica.
Ma le prese di distanza non bastano… e ci si mettono dei sacerdoti, animati – ne siamo convinti – dalle migliori intenzioni. Come don Gianluca Bracalante, autore nel 2021 di un libro, Harry Potter. Una lettura teologica, edito da Cittadella (altra “parrocchia” rispetto a quella del “Timone”, ma in questo caso parimenti indulgente), prefato da Giuseppe Lorizio, in cui esamina i risvolti teologici della saga oltre una visione semplificata della magia, da intendersi cioè in chiave post-moderna come bisogno (innegabile, senza dubbio) del sacro, del mistero. E poi, in Harry Potter la magia è servizio, contro soprusi e ingiustizie, non mero esercizio di poteri. Scrive nella postfazione al libro l’arcivescovo di Chiesti-Vasto e teologo mons. Bruno Forte che quello di Bracalante “è un originale, serio e affascinante tentativo di cogliere nel “fantasy” della saga di Harry Potter il “logos” dell’amore per il prossimo e della fede nel Dio che è Amore”. Nulla quaestio, ma è proprio così necessaria questa ricerca di significati nella serie in questione? La parrocchia di Cupello (stessa diocesi di don Bracalante) assieme all’Azione Cattolica quest’estate ha organizzato il Grest per i ragazzi ispirandosi alla saga del maghetto. Sulla pagina facebook dell’Azione Cattolica di Cupello sta scritto: “Ricorda Harry, la forza dell’amore è la più potente delle magie e la migliore delle pozioni che qualsiasi mago sulla terra potrebbe inventare”. Sarà, ma l’impressione è che salvare il salvabile della potteriade sia un atto di generosità non richiesto, uno sforzo non così necessario.
Al libro di Bracalante si è aggiunto recentemente quello di un altro presbitero “ottimista”, fresco di ordinazione, Riccardo Maria Formicola, autore per De Frede Editore del volumetto L’ultimo nemico sarà la morte. Commento teologico alla saga di Harry Potter. L’autore, dottorando in teologia a Napoli, ci spiega che il suo primo incontro con la saga della Rowling risale a 20 anni fa. Tutto fu casuale, grazie a un libro della serie donato al fratello maggiore. Il giovane Riccardo sperò che lo leggesse in fretta (o lo accantonasse), perché era attirato in modo inspiegabile dall’opera (per le cronache: Harry Potter e la pietra filosofale). Il fratello la faceva lunga e allora se lo fece passare. E la saga divenne per lui un “dolce sottofondo, un sicuro rifugio”, una storia nella quale confondere i suoi pensieri. Insomma, fu colpo di fulmine, e – lui stesso lo afferma – posando i libri si sentiva “pungere da un sorta di nostalgia, che in certi momenti assumeva persino la colorazione di un senso di incompiutezza”, come se – scrive – “avessi bevuto troppo velocemente un bicchiere di buon vino senza assaporarlo fino in fondo”. E perciò, animato da immutato entusiasmo, l’autore del saggio esegetico potteriano ci elenca i temi forti su cui riflettere: maternità, paternità, amici, ecc. Figura anche il mistero di iniquità, che in Voldemort, il terribile potente mago, signore delle tenebre, assume la “sua forma in maniera archetipica”. E, come Satana, Voldemort, “non agisce da solo nella sua ribellione”, ma raccoglie adepti (i mangiamorte) che lo elevano al rango divino, loro signore e padrone. Come nelle tentazioni di Gesù nel deserto, egli sceglie il potere anziché il sacrificio; il dominio e non il servizio. Ma non finisce qui. Don Riccardo traccia un parallelo fra il sacrificio di Harry Potter – che offre se stesso nella lotta con Voldemort – con quello di Gesù sulla croce.
Dunque, la battaglia fra Harry, rimasto orfano per mano di Voldemort, suo principale antagonista, è uno scontro senza concessioni ma salvifico, che ci farebbe comprendere come il bene – con strumenti discutibili, poiché magici, osserviamo sommessamente – sappia infine trionfare sull’iniquità. Ma di medesima prodigiosa bacchetta sono del resto armati i due contendenti: il ragazzino e lo spietato stregone.
Concludendo, rispetto a certe riletture ben altra cosa è la riflessione teologica, pastorale e culturale sul fenomeno dell’occultismo, propinato in mille salse nella società contemporanea. Compresa la salsa tutta britannica, di matrice celtico-druidica con derivazioni “wiccan”, che oggettivamente propone la signora Rowling. E vogliamo limitarci a un dato indicativo che lo stesso don Formicola, con sincerità, evoca nel suo libro: il fascino esercitato su di lui dalla saga. Lì stanno forse le ragioni del successo planetario di questa operazione editoriale senza precedenti. E lo dimostra l’enorme impatto editoriale, cinematografico, mediatico, di marketing, che ha introdotto molti ragazzi all’immaginario esoterico. Tutto questo a partire, per gioco, da una lettura accattivante fra troppi libri non sempre avvincenti (lettura che – va precisato – non ha comunque impedito la vocazione di Don Formicola).
Dunque, il messaggio esoterico è stato veicolato ben oltre il recinto iniziale del gioco, della fantasia: per innestarsi nella quotidianità, nella sensibilità personale, soddisfacendo una ricerca distorta del sacro o del trascendente, favorendo persino sul piano soggettivo, individuale, la strada all’occultismo e alla pratica superstiziosa. E ciò senza un adeguato discernimento (checché ne dicano gli ammiratori di Albus Silente). Non ci sembra necessario affermare, come fece la critica letteraria tedesca Gabriele Kuby, che la saga di Harry Potter faccia parte di un disegno globale di sovvertimento culturale a sfavore del cristianesimo e a sostegno di magia ed esoterismo. Ci pare sufficiente osservare come gli sforzi di alcuni ambienti del mondo cattolico diretti a rivalutare i suoi contenuti, siano piuttosto tentativi maldestri di giustificazione o salvataggio – e sostanzialmente di scarsa utilità.
Il nucleo attrattivo della saga fantasy della Rowling (se resisterà negli anni) rimane rappresentato dall’arte magica, sullo sfondo evocativo della Scozia, trasposta nella letteratura per ragazzi, con la cornice di “poteri” che stuzzicano spesso l’immaginazione e la rivalsa degli adolescenti. Harry è vittima a suo modo di un bullismo (ma sa difendersi con la bacchetta); è un amico fedele dei suoi coetanei – va riconosciuto. Ma questo genere fantasy non diventi il puntello morale per la formazione cristiana dei più giovani. Scelgano e leggano i buoni libri, che non hanno bisogno di filtri preventivi. Personalmente, ricordo ancora con quale passione lessi da ragazzino il celebre romanzo dell’ungherese Ferenc Molnár: I ragazzi della via Pál. Le figure di Boka, il saggio capitano dei suoi compagni, e quella del piccolo e coraggioso “soldato” Nemecsek, che morì di polmonite nel suo letto, mi impressionarono. Così avvenne per i miei amici e “nemici” nelle guerre a cerbottane e sassaiole. E il nostro borgo natale alla periferia di Verona ci sembrava Budapest, le nostre guerre ludiche le loro, di quasi un secolo prima. Nessuna magia: solo spensieratezza. Nessuna rilettura teologica: solo il gioco. Nessun incantesimo: solo ginocchia sbucciate e tanto disinfettante. E tornati a casa una sana lavata di capo dei genitori. Ma avevamo tutti un po’ vinto.
[1] Giornalista e docente universitario. Socio aggregato Associazione Internazionale Esorcisti.