di Don Renzo Lavatori

Il papa san Paolo VI per tre volte si è soffermato in modo esplicito sulla questione del diavolo. Lo ha fatto in alcune circostanze che non rivestono un valore magisteriale definitorio; tuttavia, manifestano il suo pensiero di pastore universale della Chiesa. Le sue parole restano di grande attualità e immutata pregnanza teologica dopo mezzo secolo.
Nell’omelia del 29 giugno 1972, festa dei santi Pietro e Paolo, il Pontefice, ripetendo il messaggio della Prima lettera di Pietro, chiese di essere ascoltato come Pietro stesso. Riferendosi alla situazione contemporanea della Chiesa, ove molti abbandonano la fede e altri non la vivono, egli ha avvertito la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio», spiegando che per «fumo di Satana» voleva intendere «il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa». Poco dopo, in un secondo accenno, riconobbe la presenza attiva del diavolo per turbare la vita della Chiesa, anzi «per soffocare i frutti del concilio ecumenico, e per impedire che la Chiesa prorompa nell’inno della gioia di aver ricevuto in pienezza la coscienza di sé». Papa Montini terminò con la speranza di saper confermare nella fede i fratelli e con il ricordo di coloro che restano forti nella fede secondo l’invito di Pietro.
Nello stesso anno, il 15 novembre 1972, durante l’udienza generale del mercoledì, Paolo VI ritornò sul tema; questa volta però tutto il discorso fu incentrato sul diavolo in modo netto. Partendo dal male esistente nel mondo, egli dichiarò che esso è «occasione ed effetto di un intervento in noi e nel nostro mondo di un agente oscuro e nemico, il demonio. Il male non è più soltanto una deficienza, ma un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa». Proseguì affermando decisamente la necessità di credere nel diavolo come un essere creato da Dio e non come un principio assoluto indipendente o come semplice simbolo del male: «esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscere» la realtà del demonio.
A sostegno di questa tesi sono riportate numerose citazioni bibliche, dopo le quali il Papa ribadì che il diavolo «è il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo così che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero». Paolo VI lamentò che tale argomento venisse trascurato nell’insegnamento teologico, mentre esso è un «capitolo molto importante della dottrina cattolica da ristudiare». Poi riprese l’allegoria delle fessure attraverso le quali il maligno entra nella Chiesa, con particolare riferimento alla rilassatezza morale, alla diffusione della droga e agli inganni ideologici. Tuttavia – annotò il pontefice – non tutti i peccati sono riconducibili al demonio, ma occorre vigilare per non esporsi al suo influsso.
Il terzo insegnamento di Paolo VI risalì al 1977, all’udienza generale del 21 febbraio. In relazione alla presenza del male nel creato, il Papa riprese il termine biblico «principe di questo mondo», riferito al diavolo, che ha un dominio sul mondo, inteso nel senso deteriore di realtà in opposizione a Dio. È un richiamo ancora attualissimo per i cristiani di saper discernere la realtà negativa, presente a opera di Satana, al fine di non lasciarsi contaminare né dominare.
Gli interventi di Paolo VI non sono discorsi dottrinali, non intendono dire qualcosa di nuovo o di specifico sul diavolo. Vogliono, ancora oggi, a mezzo secolo di distanza, richiamare i fedeli su questa verità, che non può essere esclusa dal patrimonio della fede cristiana. In essi il Papa ha riaffermato con vigore l’esistenza personale del demonio, tenendo conto delle correnti di pensiero che tendono a rifiutarla o a interpretarla male; ha evidenziato il suo potere avverso e le sue insidie contro la Chiesa come pure la sua azione prevaricatrice nel mondo. Questi pronunciamenti dimostrano la determinazione di presentare la Verità e di sostenerla a difesa della Fede della Chiesa.