di padre Piermario Burgo (Dottore in Diritto Canonico ed Esorcista)

Premessa

Nel 2011 un terribile fatto di cronaca riempì le pagine dei quotidiani spagnoli. Un uomo, di origine colombiana, decapitò la figlia di appena due anni, probabilmente con un coltello, davanti ad un’altra figlia di sei anni mentre la moglie non era in casa. Dopo il cruento delitto, l’uomo ha chiamato la polizia spiegando il folle gesto col dire: “Me lo ha ordinato il diavolo”.

Nel 2012 Yoselyn Ortega, babysitter di 56 anni, si è “scusata” per l’uccisione di due fratellini di sei e due anni a New York (Stati Uniti d’America) dicendo “È stato il demonio a ordinarmelo”.

Nel 2014 la polizia brasiliana arrestò un vigilante, Jhonatan Lopes de Santana di 23 anni, il quale confessò di aver assassinato sei persone in seguito a un patto con il demonio che gli avrebbe chiesto di uccidere 36 senzatetto “perché non pagano le tasse e vivono alle spalle degli altri”.

Nel 2016, in Messico, Jesus Guadalupe Medrano Alvarado, di 18 anni, giustificò il duplice omicidio della madre e della nonna dicendo che glielo aveva ordinato il diavolo.

Nel 2017 un tredicenne dell’Indiana (Stati Uniti d’America) uccise un fratellino di 11 mesi e una sorellina di 23 mesi dicendo di aver agito per ordine di un angelo, il quale lo avrebbe anche “aiutato” a soffocarli con una coperta. L’angelo gli avrebbe anche ordinato di “strizzare” un gattino così forte da fargli esplodere gli organi interni.

Nel 2018 il vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Managua, mons. Mario Guevara, è stato aggredito, mentre confessava in chiesa, da Elis Leonidovna Gonn, che gli ha gettato addosso dell’acido solforico, provocandogli gravi ustioni al viso ed al corpo. Fermata e poi processata, in aula si era giustificata dicendo di aver agito perché “il diavolo mi ha ordinato di uccidere qualcuno” altrimenti “il diavolo mi avrebbe preso la vita”.

Nel 2019, in Texas (Stati Uniti d’America) la 30enne Tisha Sanchez ha soffocato il figlio Joevani Antonio Delapen con un cuscino. La donna, messa alle strette, ha confessato tutto, ma si è difesa dicendo di avere agito così su preciso ordine ricevuto nella sua testa da parte “dei demoni”.

Da questi fatti di cronaca riportati dai mass-media, si evince che non è affatto raro che persone commettano atti deplorevoli giustificandosi di aver agito perché spinti, o comandati, da una voce interiore da loro identificata con quella del diavolo o di qualche altra entità sovraumana. Anzi, è statisticamente probabile che il numero di questi casi sia assai maggiore rispetto a quello riportato dai mass-media.

Le questioni sollevate da siffatti eventi sono certamente complesse e richiederebbero un approccio multidisciplinare per essere affrontate in maniera conveniente.

Il nostro contributo, in queste righe, si limita a trattarne nella prospettiva della scienza esorcistica, avendo come sfondo l’insegnamento della teologia morale circa gli atti umani e l’imputabilità delle azioni umane. In altre parole, vogliamo capire se persone, realmente vittime di un’azione diabolica straordinaria, possono, sotto l’influsso di detta azione, compiere atti come quelli sopra riportati e, se sì, se ne sono o no responsabili.

Esporremo, anzitutto, in modo sintetico la dottrina morale comune relativa agli atti umani e a quella loro qualità normalmente indicata con il termine di imputabilità, accennando a quelli che sono i suoi possibili impedimenti.

In seguito, dopo aver riferito alcune fondamentali nozioni di demonologia e richiamato i dati basilari concernenti l’azione diabolica straordinaria, cercheremo di dare una risposta all’interrogativo che ha stimolato la stesura di queste pagine.

La dottrina morale relativa agli atti umani e alla loro imputabilità

  1. Gli atti umani

Per atti umani si intendono quelle azioni che nell’uomo procedono dall’intelletto(cognizione, consapevolezza, avvertenza) e dalla volontà libera (consenso, approvazione, assenso libero). Gli atti umani, in tal modo intesi, vanno tenuti ben distinti dai cosiddetti atti dell’uomo, che, pur avendo la persona umana come soggetto, non dipendono dalla sua cognizione e dalla sua libera volontà.

1.1. Anzitutto, perché un atto sia umano, la cognizione (consapevolezza, avvertenza) deve includere:

  • l’azione che si sta compiendo (la persona deve avere coscienza, avvertenza, consapevolezza di ciò che sta facendo; perciò non sono atti umani, bensì semplicemente atti dell’uomo, le immaginazioni o i sentimenti che occupano la facoltà conoscitiva di una persona prima che se ne renda consapevole);
  • l’oggetto dell’azione che si sta compiendo con tutte le circostanze prossime(un cacciatore che spara ad un uomo e lo uccide sapendo che è un uomo, commette un omicidio; un cacciatore che spara ad un uomo e lo uccide convinto che sia un animale a cui è lecito dare la caccia, da questo punto di vista e sotto l’aspetto meramente morale, per sé non commette un omicidio);
  • la possibilità di non fare l’azione o di agire diversamente (senza la consapevolezza di questa possibilità non si può, infatti, parlare di libero assenso).

1.2. Inoltre, perché un atto sia umano, insieme alla cognizione suddetta occorre il libero assenso (approvazione, consenso) della volontà, il quale può essere:

  • perfetto (se una cosa la si vuole con piena consapevolezza e pieno consenso), o imperfetto (se una cosa è voluta con imperfetta cognizione e imperfetto consenso, come avviene, ad esempio, nel dormiveglia o sotto l’influsso dell’alcool, della droga o di un’eccitazione passionale travolgente);
  • attuale (se chi agisce è consapevole di quello che sta facendo e lo vuole mentre lo fa, come può avvenire a un sacerdote nell’atto in cui, durante la S. Messa, consacra il pane e il vino con piena attenzione a ciò che compie e con l’intenzione di farlo) o virtuale (se l’assenso esiste ancora nell’intenzione dell’agente, senza però esistere attualmente nella sua coscienza, come può accadere a un sacerdote, il quale, dopo aver formulato durante la preparazione fatta in sagrestia l’intenzione di consacrare, nell’atto in cui di fatto consacra è vittima di una distrazione);
  • volontario in sé (è ciò che si vuole direttamente, anche se solo come mezzo, come quando, ad esempio, si uccide un feto per salvare la madre) o volontario in causa (quando una cosa non è voluta direttamente, ma solo si permette che avvenga a motivo dell’inevitabile connessione con l’azione che si pone, come avviene, ad esempio, quando dall’asportazione chirurgica di un tumore maligno in una gestante ne consegue la morte del feto. È ciò che nel linguaggio corrente si indica con l’espressione effetto collaterale).
  1. L’imputabilità degli atti umani

Un atto umano è imputabile quando chi lo compie può, a buon diritto, essere dichiarato autore libero di quell’atto e di ciò che ne consegue. L’imputabilità di un’azione fa sì che chi la realizza ne sia ritenuto responsabile. Ci sono tuttavia delle differenze da tenere presente, secondo che l’atto con ciò che ne consegue sia voluto in sé (volontario in sé) oppure si tratti di un effetto collaterale (volontario in causa).

2.1. In ordine all’imputabilità di un atto voluto in sé, va considerato che ciò che è voluto in sé è sempre da imputare all’agente, sia che si tratti di un’azione buona, sia che si tratti di un’azione cattiva.

2.2. In ordine all’imputabilità di un effetto collaterale (volontario in causa), se si tratta di un effetto buono, esso non viene mai imputato all’agente (se con la sola intenzione di salvare la mia vita io compio un’azione da cui deriva, insieme alla salvezza della mia vita, la salvezza di altre persone, sotto l’aspetto morale io non ho alcun merito di questo felice esito); se invece si tratta di un effetto collaterale cattivo, in molti casi esso viene imputato all’agente. Infatti, perché sia lecito fare un’azione dalla quale si sia previsto, almeno in confuso, il seguire di un effetto collaterale cattivo, è necessario:

  • che l’azione stessa sia in sé buona o almeno moralmente indifferente;
  • che dall’azione derivi simultaneamente, insieme all’effetto cattivo, un effetto buono (e qui occorre molta attenzione, perché se l’effetto buono derivasse dall’effetto cattivo, quest’ultimo sarebbe voluto precedentemente come mezzo, il che non è mai lecito, perché non si possono usare mezzi cattivi in vista di fini buoni);
  • che l’intenzione con cui si agisce sia indirizzata unicamente all’effetto buono;
  • che ci sia un motivo buono sufficiente per permettere l’effetto cattivo.
  1. Gli impedimenti degli atti umani

Dopo aver richiamato le nozioni relative agli atti umani e alla loro imputabilità, resta da considerare ciò che può ostacolare l’intelletto in ordine alla cognizione (consapevolezza, avvertenza) e la volontà in ordine al libero assenso (consenso, approvazione).

Qualsiasi cosa possa ostacolare un atto umano in uno dei due aspetti che lo qualificano come tale, viene detto impedimento. Un impedimento influisce sull’imputabilità dell’atto, giungendo a diminuirla o, addirittura, a toglierla. Senza entrare, di proposito, nel dettaglio di ciascuno di essi, nell’ambito della teologia morale gli impedimenti possono essere classificati nel seguente ordine.

3.1. Ignoranza, da intendersi, in questo contesto, come la mancanza della cognizione necessaria. A questo concetto di ignoranza vanno equiparati sia l’errore (falso giudizio su una cosa), sia l’inavvertenza (quando, pur sapendo benissimo una cosa, nell’atto di agire non si riflette).

Tra le varie distinzioni in materia di ignoranza, ricordiamo qui quella tra ignoranzavincibile (ignoranza che si può e quindi si deve eliminare applicandosi con quella coscienziosità corrispondente alle capacità della persona e alle circostanze in cui ci si trova) e ignoranza invincibile (ignoranza che, anche applicandosi con la coscienziosità corrispondente alle capacità della persona e alle circostanze in cui ci si trova, non si riesce a togliere). Nel caso in cui una persona volesse di proposito rimanere nell’ignoranza per sé vincibile, questa ignoranza è detta affettata.

Quanto all’imputabilità, l’ignoranza invincibile, togliendo il volontario, toglie anche la responsabilità.

L’ignoranza vincibile, invece, diminuendo il volontario diminuisce anche la responsabilità, non però al punto che una peccato, grave quanto a materia, si trasformi in peccato veniale quanto ad avvertenza e deliberato consenso, eccetto il caso in cui la negligenza dimostrata nell’applicarsi a vincere l’ignoranza sia stata insignificante.

L’ignoranza affettata, da parte sua, non solo non diminuisce la responsabilità, ma in alcuni casi la potrebbe aumentare.

3.2. Violenza, da intendersi, in questo contesto, come un influsso esterno che fa agire una persona contro la propria volontà.

Si parla di violenza assoluta quando la volontà umana oppone tutta la resistenza che è in grado di produrre. Si parla invece di violenza relativa quando la volontà umana avrebbe la possibilità, opponendo una maggiore resistenza, di vincere la violenza, ma si astiene dal farlo; oppure quando, pur opponendo una resistenza esterna sufficiente, interiormente acconsente.

Nella violenza assoluta la libertà è tolta e perciò quello che avviene sotto il suo influsso non è imputabile a chi ne è vittima.

Nella violenza relativa la libertà è solo diminuita e perciò quello che avviene sotto il suo influsso è parzialmente imputabile a chi ne è vittima.

3.3. Timore, da intendersi, in questo contesto, come un’inquietudine (turbamento, trepidazione) dell’anima causata dalla preoccupazione di un male imminente.

Il timore, sia esso grave o leggero a seconda del male che l’anima si rappresenta, non toglie mai la volontarietà, anche se solitamente diminuisce la responsabilità, in quanto porta a volere ciò che altrimenti non si vorrebbe.

Tuttavia, se il timore da inquietudine dell’anima passa ad intaccare la sfera sensitiva (passionale) della persona, l’influsso che esercita sull’imputabilità può essere analogo a quello esercitato dalla passione.

3.4. Passione, da intendersi, in questo contesto, come un sentimento intenso e violento (di attrazione o repulsione), che procede dalla rappresentazione di un bene o di un male.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, ai numeri 1763-1765, recita «Per sentimenti o passioni si intendono le emozioni o moti della sensibilità, che spingono ad agire o a non agire in vista di ciò che è sentito o immaginato come buono o come cattivo. Le passioni sono componenti naturali della psicologia umana; fanno da tramite e assicurano il legame tra la vita sensibile e la vita dello spirito […]. Le passioni sono molte. Quella fondamentale è l’amore provocato dall’attrattiva del bene. L’amore suscita il desiderio del bene che non si ha e la speranza di conseguirlo. Questo movimento ha il suo termine nel piacere e nella gioia del bene posseduto. Il timore del male causa l’odio, l’avversione e lo spavento del male futuro. Questo movimento finisce nella tristezza del male presente o nella collera che gli si oppone.»

In ordine alla passione, di solito si distingue tra passione antecedente e passione conseguente.

La passione antecedente è quella che precede la decisione della volontà, fungendo solo da stimolo al suo assenso. Sono i cosiddetti moti involontari di vana compiacenza, d’ira, d’odio, di gola, di piacere sensuale ecc.

La passione conseguente è, invece, quella che procede dalla libera decisione della volontà, o perché è volontariamente ammessa (il che avviene quando ci si sofferma e si nutre consapevolmente dei moti sorti in modo spontaneo), o perché è suscitata di proposito (il che avviene quando si eccitano intenzionalmente dei moti passionali, ad esempio rimuginando su dei torti ricevuti, assistendo a spettacoli osceni, ecc.).

In ordine all’imputabilità, la passione antecedente, nella misura in cui ostacola l’uso della ragione, diminuisce la responsabilità, arrivando addirittura a toglierla se ne impedisce totalmente l’uso. La passione conseguente, invece, non solo non diminuisce mai l’imputabilità, ma di solito l’accresce.

3.5. Abitudine, da intendersi, in questo contesto, come facilità (prontezza) ad agire in un determinato modo, acquisita attraverso la ripetizione degli stessi atti.

In ordine all’imputabilità, l’abitudine volontaria, cioè causata da atti liberi e non ancora seriamente ritrattati, aumenta la responsabilità.

L’abitudine involontaria, causata cioè da atti liberi, ma sinceramente ritrattati, diminuisce o anche toglie la responsabilità. La diminuisce se l’avvertenza che si ha durante l’atto che si compie per abitudine è imperfetta. La toglie se l’avvertenza è completamente assente.

3.6. Disturbi mentali, da intendersi, in questo contesto, come alterazioni patologiche che colpiscono in vario modo le funzioni cognitive (il pensiero, l’ideazione, la concentrazione, l’attenzione, la capacità di affrontare e risolvere problemi), la sfera affettiva (l’umore, le emozioni, i sentimenti, l’ansia) e il comportamento di una persona.

Parlando in modo molto generico, le persone affette da disturbi mentali non sono responsabili delle loro azioni nella misura in cui le immaginazioni della fantasia influiscono sulla ragione in modo tale che essa, o per nulla o solo difficilmente, può applicarsi ad altro, con la conseguenza che il libero arbitrio o viene totalmente impedito o, per lo meno, assai limitato.

Senza entrare in altri dettagli riguardanti i suddetti impedimenti e come ognuno di essi possa influire sull’imputabilità di un atto, è necessario chiedersi, adesso, se l’azione diabolica straordinaria possa essere annoverata tra gli impedimenti degli atti umani, giungendo a diminuire o, addirittura, a togliere la loro imputabilità.

La risposta, che deve tener presente quanto di certo può essere affermato circa i demoni e il loro influsso sull’uomo in stato di via, è necessariamente articolata, dal momento che esistono specie differenti di azione diabolica straordinaria. Inoltre va tenuto presente che ciascuna specie di azione diabolica straordinaria implica, nei singoli casi, elementi o fattori che rendono ogni caso unico rispetto agli altri.

 

Nozioni fondamentali di demonologia e concetti basilari concernenti l’azione diabolica straordinaria

  1. L’influsso dei demoni sui sensi dell’uomo e, in particolare, sul suo intelletto e sulla sua volontà

Avendo come punto di riferimento l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, cominciamo, anzitutto, col richiamare alcune nozioni basilari di demonologia.

Nelle Quaestiones disputatae de malo (q. 16 a. 12 co.) San Tommaso afferma che riguardo all’operare del demonio sono due le cose da considerare: la prima, è ciò che il demonio può in forza della propria natura; la seconda, in che modo il demonio, conformemente alla malizia della propria volontà, fa uso della sua capacità naturale.

Quanto alla capacità della propria natura, l’Aquinate afferma che i demoni possono fare le medesime cose che fanno gli angeli buoni, avendo in comune la medesima natura. C’è, invece, una differenza nell’uso di detta capacità, a secondo della bontà e della malizia della loro volontà. Per la carità, gli angeli buoni tendono, infatti, ad essere utili all’uomo in vista della perfetta conoscenza della verità; al contrario, il demonio questo tende ad impedirlo, come del resto fa anche per gli tutti altri beni dell’uomo.

4.1. In ordine ai sensi esterni dell’uomo, come spiega San Tommaso nella Summa Theologiae (cfr. Iª q. 111 a. 4 co.), essi possono esser mossi in due modi. Primo, dall’esterno, attraverso gli oggetti sensibili percepiti; secondo, dall’interno, il che avviene quando i sensi si alterano (come succede, ad esempio, per il gusto del malato che sente tutto amaro).

Ora gli angeli, col loro potere naturale, sono in grado di muovere i sensi dell’uomo in ambedue i modi. Perciò i demoni, al pari degli angeli buoni, possono dall’esterno presentare ai sensi oggetti sensibili, o esistenti già in natura, o formati da loro stessi, come fanno quando assumono un corpo. Dall’interno, poi, possono agire sull’organismo umano producendo delle alterazioni nei sensi.

Va, tuttavia, ribadito che i demoni, come gli angeli buoni, non possono agire fuori dell’ordine di tutto il creato (cfr. Iª q. 111 a. 4 ad 3). Possono, però, agire fuori dell’ordine di una particolare natura, non essendo essi soggetti a tale ordine. Quindi possono muovere i sensi dell’uomo fuori del consueto.

4.2. In ordine al senso interno dell’immaginativa (o fantasia) dell’uomo, San Tommaso nella Summa Theologiae (cfr. Iª q. 111 a. 3 co.) spiega che tanto gli angeli buoni che quelli cattivi possono, in forza del potere della loro natura, influire su di essa.

Nel modo in cui in un uomo l’agitazione interiore può essere così forte da produrre delle allucinazioni anche in stato di veglia, come accade ai pazzi e ad altri alienati, e come siffatti fenomeni possono verificarsi per un turbamento naturale e talvolta per mezzo della stessa volontà dell’uomo, che volontariamente riproduce con l’immaginazione quanto aveva percepito con i sensi, così queste cose possono anche verificarsi per influsso di un angelo buono o cattivo, a volte con astrazione dai sensi corporei, a volte senza tale astrazione.

4.3. In ordine al possibile influsso degli angeli sull’intelletto umano, San Tommaso affronta la questione nella Summa Theologiae Iª q. 111 a. 1., sostenendo, in sostanza, che dal momento che l’ordine stabilito dalla divina provvidenza vuole che gli esseri inferiori siano sotto l’influsso degli esseri superiori, ne consegue che, come gli angeli di grado inferiore sono illuminati da quelli di grado superiore, così gli uomini che sono inferiori agli angeli, sono illuminati da essi.

Gli stessi argomenti svolti nella Summa, sono esposti anche nelle già citate Quaestiones disputatae de malo (cfr. q. 16 a. 12 co.), ove l’Aquinate rivolge una particolare attenzione all’operato dei demoni in tal senso. San Tommaso ricorda, anzitutto, che l’operazione intellettuale degli uomini si effettua sulla base di due principi, cioè secondo il lume intellegibile e le specie intellegibili, cosicché con queste ultime avviene l’apprensione delle cose e con il lume intellegibile si effettua il giudizio sulle cose apprese.

Ora, nell’anima umana si trova un lume intellegibile naturale, che certamente nell’ordine di natura è al di sotto del lume angelico. Per questa ragione, come nelle cose corporali le facoltà superiori aiutano e rafforzano le facoltà inferiori, così per mezzo del lume angelico il lume dell’intelletto umano può essere rafforzato per giudicare in modo più perfetto, cosa che l’angelo buono tende a fare, non certo l’angelo cattivo. Perciò in questo modo gli angeli buoni muovono l’anima a comprendere, non invece i demoni.

Da parte, invece, delle specie sia l’angelo buono, sia l’angelo cattivo possono muovere l’intelletto dell’uomo a comprendere qualcosa, non insinuando delle specie nello stesso intelletto, ma usando all’esterno alcune immagini con le quali l’intelletto venga eccitato ad apprendere qualcosa, cosa che anche gli uomini possono fare con gli altri uomini.

Oltre a ciò, gli angeli buoni e quelli cattivi possono anche interiormente disporre e ordinare delle specie immaginarie in seguito alle quali l’intelletto tende a comprendere qualcosa (cosa che si è già vista sopra esponendo l’influsso che l’angelo buono e quello cattivo possono esercitare sul senso interno dell’immaginativa).

Questo genere di operazione gli angeli buoni la ordinano al bene dell’uomo, mentre i demoni al suo male, cioè o per fargli compiere un peccato (come quando, ad esempio, un uomo è mosso alla superbia o a qualche altro peccato dalle cose che ha appreso attraverso l’immaginazione) o per impedire la stessa comprensione della verità, per cui, in conformità a quello che ha appreso attraverso l’immaginazione, l’uomo è indotto in un dubbio che non sa risolvere ed è così tratto in errore.

4.4. In ordine al possibile influsso sulla volontà umana, San Tommaso affronta la questione nella Summa Theologiae Iª q. 111 a. 2., sostenendo che la volontà può essere mossa in due modi: dall’interno o dall’esterno.

In ordine al primo modo, ossia dall’interno, siccome il moto della volontà non è altro che la sua inclinazione verso la cosa voluta, muovere la volontà in questo modo è proprio di Dio solo, che conferisce alla natura intellettiva la capacità necessaria per tale inclinazione. Come in tutte le cose l’inclinazione naturale proviene soltanto da Dio, che dà la natura alle cose, così l’inclinazione della volontà proviene soltanto da Dio, che causa il volere.

In ordine al secondo modo, ossia dall’esterno, uno può muovere la volontà di un altro presentando al suo intelletto un oggetto come un bene desiderabile. Anche in questo secondo modo, Dio solo può muovere irresistibilmente la volontà; l’angelo e l’uomo invece, soltanto facendo opera di persuasione.

La volontà umana, però, può essere mossa dall’esterno anche in altra maniera, e cioè dalla passione che sorge nell’appetito sensitivo; così la volontà viene spinta a volere qualche cosa dalla concupiscenza o dall’ira. E siccome gli angeli hanno il potere di suscitare tali passioni, essi possono muovere la volontà anche in questo modo. Non è tuttavia un moto necessitante, perché la volontà resta sempre libera di acconsentire o resistere alla passione.

In conclusione, i demoni non possono immettere i pensieri, causandoli internamente; perché l’uso della potenza intellettiva è sottoposto alla volontà. Quando si dice che il diavolo “accende i pensieri”, questo significa che il demonio incita a pensare e a desiderare le cose pensate, o mediante la persuasione, o mediante l’eccitazione delle passioni.

  1. Nozioni basilari concernenti l’azione diabolica straordinaria

Avendo come punto di riferimento le “Linee Guida per il ministero degli esorcismi alla luce del rituale vigente”, edito in seconda edizione dalle Edizioni Messaggero Padova (indicate con la sigla Linee Guida seguita dal numero a cui si rimanda), richiamiamo di seguito alcuni concetti fondamentali riguardanti l’azione diabolica straordinaria.

  • In senso generico per azione diabolica “straordinaria” si deve intendere, stante la permissione divina, l’esercizio di una forma del potere diabolico nei confronti degli uomini (cfr. Linee Guida 49). L’esercizio di questa forma del potere diabolico è detto “straordinario” non tanto per la “spettacolarità” o l’anormalità che in alcuni casi si rileva, quanto per il fatto che solo un numero limitato di uomini ne è vittima (cfr. Linee Guida n. 33, b).
  • L’azione diabolica straordinaria è indicata con il termine “preternaturale” per distinguerla dall’operato divino (soprannaturale) e da quello umano o imputabile a realtà che nell’ordine della creazione stanno al di sotto dell’uomo (naturale). L’agire preternaturale è riconoscibile solo dai suoi effetti nel mondo naturale. Esaminando questi effetti e verificando che non possono essere attribuiti a Dio o spiegati con cause naturali, si ha la prova che è il demonio a causarli (Linee Guida 210-211).
  • Secondo la classificazione adottata dall’Associazione Internazionale Esorcisti, l’azione diabolica straordinaria si distingue in possessione, ossessione e vessazione se l’azione demoniaca si esercita direttamente sulla persona umana; infestazione, se ha per oggetto cose date in uso all’uomo (cfr. Linee Guida 46).
  • Se per varie ragioni una classificazione si rende necessaria, va tenuto presente che nella realtà i confini tra le varie specie dell’azione diabolica straordinaria non sempre sono netti; al contrario, si verifica spesso il loro intrecciarsi o assommarsi, per cui nel concreto ci si imbatte in una vasta gamma di disturbi, di svariate forme e di differente gravità (cfr. Linee Guida 48).

 

Le singole specie dell’azione diabolica straordinaria e in che modo ciascuna può influire sull’esercizio della libera volontà

  1. La vessazione diabolica

Per vessazione diabolica s’intende l’azione, da parte del demonio, tesa ad aggredire e a tormentare l’uomo fisicamente, senza che questo comporti, per sé, un possesso del corpo che viene tormentato, il quale di conseguenza resta sotto il normale controllo dell’intelletto e della volontà umana (cfr. Linee Guida n. 66).

Nella vessazione diabolica l’aggressione è dunque portata al corpo della persona e può prendere diverse forme (cfr. Linee Guida n. 67-69). Possono rientrare nella vessazione diabolica anche situazioni in cui un individuo subisce in modo accanito, costante e immotivato delle “persecuzioni” da parte di altre persone con le quali si intreccia la sua vita, rimanendone pregiudicato sotto l’aspetto sociale, economico, affettivo ecc.

Certamente la vessazione diabolica può indirettamente provocare, in chi ne è vittima, reazioni naturali di comprensibile timore, come anche contribuire all’accendersi di moti passionali di diverso genere. Ma in ogni caso, in un soggetto normale e a maggior ragione in un cristiano che vive orientato a Dio ed è seriamente impegnato sul fronte del certamen spiritale (cfr. Linee Guida n. 216, nota 15), la volontà per sé resta sempre libera di acconsentire o resistere alla passione e questo vale anche nelle situazioni in cui i movimenti passionali, occasionati dalla vessazione diabolica, fossero alimentati dallo stesso demonio.

Quanto detto fin qui si applica anche ai casi di persone sofferenti a motivo di una reale infestazione diabolica, dove l’aggressione del maligno è diretta a luoghi o a cose date in uso all’uomo, animali inclusi (cfr. Linee Guida n. 70).

  1. L’ossessione diabolica

Per ossessione diabolica s’intende l’azione, da parte del demonio, volta ad aggredire e a tormentare l’uomo interiormente, nella sfera psichica. Tale aggressione non è rivolta direttamente all’intelletto e alla libera volontà della persona, in quanto queste due facoltà sono inespugnabili a qualsiasi creatura. Ad essere aggrediti e tormentati sono, invece, la sfera passionale e i sensi interni della persona, in particolare l’immaginazione, l’estimativa e la memoria sensibile. Nell’uomo i sensi interni sono per natura alle dipendenze dell’intelletto e della volontà ed è proprio in forza di questo vincolo che nell’ossessione diabolica intelletto e volontà risultano essere presi indirettamente d’assalto e tormentati (cfr. Linee Guida n. 61).

Come ben si dice nelle Linee Guida, nell’ossessione diabolica non si ha per sé un possesso del corpo implicante il sostituirsi all’anima nel controllo e nella direzione da dargli. In questa specie dell’agire diabolico straordinario, l’azione del demonio è circoscritta alla comunicazione alla sfera psichica dell’uomo di “specie” (immagini, suoni, sensazioni) insistenti. Non di rado le specie “bombardate” appaiono fin da subito razionalmente assurde all’intelletto della persona che le riceve, ma sono di tale portata ed intensità che la vittima non è in grado di respingerle, o comunque trova una grande difficoltà a liberarsene (cfr. Linee Guida nn. 62-63).

Su quest’ultimo punto occorre avere le idee chiare: qualunque sia la forma che l’azione ossessiva del demonio assume, ciò che la vittima non è in grado di evitare coi mezzi normali della natura e della grazia (ed è per questo che necessita del ministero dell’esorcista) è soltanto l’essere “bombardata” dalle specie (immagini, suoni, sensazioni) che il demonio comunica ai suoi sensi interni e alla sua sfera passionale.

Il tutto, però, si ferma qui, al “bombardamento”, ossia al ricevere “suggerimenti” e impulsi. Quanto al metterli in atto, in tutti i casi in cui la vittima è un soggetto normale (e a maggior ragione se si tratta di un cristiano che vive orientato a Dio ed è seriamente impegnato sul fronte del certamen spiritale) queste “spinte” causate dal demonio non costituiscono dei moti necessitanti e la volontà per sé resta sempre libera di acconsentire o resistere ad essi.

  1. La possessione diabolica

Per possessione diabolica si intende l’azione per la quale uno spirito maligno è in grado di esercitare un controllo dispotico su un corpo umano, riuscendo, in determinati momenti detti di “crisi”, a muoversi e/o a parlare attraverso il corpo della persona posseduta, senza che la vittima possa fare nulla per evitarlo, anche nei casi in cui mantiene la coscienza di ciò che le sta accadendo (cfr. Linee Guida n. 52).

Lo specifico della possessione diabolica è rappresentato, dunque, dalla presenza permanente di uno o più demoni in un corpo umano sul quale, in determinati momenti detti di “crisi”, il maligno esercita un controllo dispotico muovendolo e/o parlando attraverso di esso come se fosse suo (cfr. Linee Guida n. 54).

In questi momenti di crisi la vittima può vivere stati di coscienza alterati che, nei loro estremi, vanno dalla totale mancanza di consapevolezza di ciò che avviene dentro e fuori di sé, alla piena cognizione di ciò che il demonio dice e opera attraverso il suo corpo, con numerose varianti in ordine al ricordo di quanto è accaduto e alla valutazione di ciò che si è sperimentato (cfr. Linee Guida n. 56).

È necessario comprendere che la possessione diabolica costituisce di per sé una mera condizione fisica, riguardante cioè il corpo di una persona il cui dominio è temporaneamente sottratto all’io umano. Nei momenti di crisi la volontà della vittima, nella misura in cui è cosciente di ciò che il demonio sta facendo o dicendo attraverso il suo corpo, pur non potendo contrastare l’azione dispotica del maligno resta sempre interiormente libera di acconsentire o di resistere a ciò che il maligno dice con la sua bocca e compie con le membra del suo corpo.

Certamente la condizione di posseduto può provocare, in chi ne è vittima, reazioni naturali di comprensibile timore, come anche contribuire all’accendersi di moti passionali di diverso genere. Ma anche qui, nei soggetti normali e a maggior ragione nei cristiani che vivono orientati a Dio e sono seriamente impegnati sul fronte del certamen spiritale, la volontà resta sempre libera di acconsentire o resistere alla passione, anche nelle situazioni in cui i movimenti passionali fossero alimentati dallo stesso demonio.

Di conseguenza, come una malattia corporale non impedisce a un battezzato la santità, così la possessione diabolica del corpo non compromette per sé la capacità dell’anima di vivere la vita buona del Vangelo e di esercitare le virtù cardinali e teologali anche in grado eroico (cfr. Linee Guida n. 59).

 

L’imputabilità nelle singole specie di azione diabolica straordinaria

  1. L’imputabilità nella vessazione diabolica

Come è già stato detto, nella vessazione diabolica l’aggressione del maligno è indirizzata al corpo della persona. Anche quando prende la forma di “persecuzione” mirante a pregiudicare la vittima sotto l’aspetto sociale, economico, affettivo ecc., essa rimane sempre qualcosa di “esterno”, nel senso che non si indirizza ai sensi interni della persona e alla sua sfera passionale. Essa, perciò, non costituisce per sé un impedimento agli atti umani, dal momento che non ostacola l’intelletto in ordine alla cognizione (consapevolezza, avvertenza) e la volontà in ordine al libero assenso (consenso, approvazione).

Alla vittima di una reale vessazione diabolica resta sempre il dovere di osservare la legge naturale e, se cristiana, quella evangelica. Eventuali reazioni contrarie alla legge naturale e a quella evangelica occasionate dalla vessazione diabolica, come “il prendersela” con Dio o con il prossimo a motivo della sofferenza che essa infligge, non sono scusabili più di quanto lo siano la bestemmia o la violenza verso gli altri quando si è vittime di un incidente o di un qualsiasi evento nefasto. In tutte le circostanze favorevoli o avverse della vita, l’uomo ha sempre il dovere di fare il bene e di fuggire il male e i comandamenti di Dio non sono gravosi (cfr. 1 Gv 5, 3).

Quanto detto fin qui vale, a maggior ragione, nei casi di infestazione diabolica.

  1. L’imputabilità nell’ossessione diabolica

Come è già stato detto nell’ossessione diabolica l’aggressione del demonio si indirizza alla sfera psichica della persona, ossia ai sensi interni della persona e alle sue passioni. La “pressione” esercitata dal demonio non rappresenta, tuttavia, qualcosa di necessitante, perché la volontà umana resta sempre libera di acconsentire o di resistere alle suggestioni della fantasia e ai moti della passione eccitati dal maligno. In altre parole, l’ossessione diabolica non giunge mai, in alcun modo, ad essere un controllo dispotico del demonio sull’intelletto e sulla libera volontà dell’uomo.

Anche alla vittima di una reale ossessione diabolica resta il dovere di osservare sempre la legge naturale e, se cristiana, quella evangelica. Eventuali reazioni contrarie alla legge naturale e a quella evangelica occasionate dall’ossessione diabolica non sono perciò da attribuirsi all’azione diabolica straordinaria, ma alla stessa vittima di tale azione e, in ordine alla loro imputabilità, vanno valutate alla luce dell’orientamento morale della persona e del suo equilibrio psichico (cfr. Linee Guida nn. 275 e 281), tenendo presente, sotto quest’ultimo aspetto, che il demonio può amplificare delle ossessioni che hanno un’origine naturale (cfr. Linee Guida n. 283). In tal caso, riguardo all’imputabilità, vale quanto detto sopra circa gli impedimenti dovuti a disturbi mentali.

  1. L’imputabilità nella possessione diabolica

Come è già stato detto nella possessione diabolica il demonio, nei momenti cosiddetti di “crisi”, esercita un controllo dispotico sul corpo della vittima, la quale, anche se cosciente di ciò che il maligno dice e fa attraverso di esso, non è in grado di opporre resistenza. In queste situazioni, alla persona umana non può certamente essere imputata l’azione che il demonio esercita servendosi del suo corpo, dal momento che il soggetto di detta azione è appunto il maligno e non l’uomo.

Occorre, tuttavia, tener presente che, nella misura in cui la vittima è cosciente di ciò che avviene nei momenti di “crisi”, può esserci un concorso di colpa se la volontà umana, che resta sempre libera, anziché dissentire acconsente a ciò che il demonio sta dicendo e facendo per mezzo del corpo da lui posseduto.

Detta imputabilità, poi, è accresciuta se la condizione di possessione diabolica è voluta e addirittura provocata da chi ne è vittima, come avviene in certe realtà settarie o in altre situazioni analoghe, e questo anche nel caso in cui nei momenti di “crisi” la persona sia in stato di completa trance.

Riportiamo, come esempio, quanto scritto da Don Gabriele Amorth: «Giuseppe, di 28 anni, venne da me accompagnato dalla madre e dalla sorella. Vidi subito che era venuto solo per fare un piacere ai suoi cari. Puzzava fortemente di fumo; si drogava, spacciava droga, bestemmiava. Inutile parlare di preghiera e di sacramenti. Cercai di disporlo alla meglio, perché accettasse con buona volontà la mia benedizione. Questa fu brevissima: il demonio si manifestò subito in modo violento, e troncai immediatamente. Quando dissi a Giuseppe quello che aveva, mi rispose: “Lo sapevo già e sono contento così; col demonio ci sto bene”. Non l’ho più rivisto.» (Un esorcista racconta, EDB 201022, pag. 102).

Infine, sotto l’aspetto morale, l’imputabilità delle azioni commesse al di fuori dei momenti di “crisi” da una persona realmente posseduta va giudicata con gli stessi criteri con cui si valutano le azioni eseguite da persone non possedute.

Conclusione

  1. Valutazione generica circa i fatti esposti nella premessa

Volendo, al termine di queste righe, offrire una valutazione circa i fatti esposti nella premessa che possa servire di orientamento in situazioni analoghe, facciamo anzitutto presente che si tratta di una valutazione generica, basata sui dati di cronaca riferiti dai mass-media e perciò suscettibile di cambiamento qualora nuovi elementi di giudizio lo richiedessero. Inoltre, ciò che si sta per affermare sulla realtà o meno di un’azione diabolica straordinaria in atto nei fatti esposti nella premessa non rappresenta un giudizio apodittico, in quanto la certezza morale circa un’azione straordinaria del maligno o la sua esclusione l’esorcista la può ottenere solo esaminando personalmente caso per caso.

Il primo elemento comune a tutti i casi riportati nella premessa è che le persone materialmente autrici di azioni delittuose affermano di avere agito su ordine/richiesta del demonio. Da ciò ne consegue:

  • che dette persone erano coscienti di quanto facevano;
  • e, soprattutto, che hanno voluto fare ciò che effettivamente hanno compiuto.

Infatti, e questo è il secondo elemento in comune, in nessuno dei casi riportati nella premessa, stando al riferito dai mass-media, l’autore del crimine ha dichiarato di aver agito contro la propria volontà, forzato, cioè, a compiere materialmente un’azione nei confronti della quale la sua volontà si opponeva con tutte le forze.

Inoltre, come terzo elemento in comune, in tutti casi riportati nella premessa colpisce l’incapacità di provare empatia e senso di colpa per le conseguenze delle proprie azioni.

Tutto ciò porta a concludere che le persone, protagoniste delle azioni criminali riportate nella premessa, siano o individui abietti, moralmente degenerati e corrotti, oppure persone con gravissime patologie mentali.

In tutti casi riportati nella premessa, l’azione diabolica straordinaria sembra, invece, doversi escludere per le seguenti ragioni:

  • nella possessione diabolica il demonio non comanda alla vittima di agire, bensì semplicemente agisce servendosi del corpo della persona come fosse suo; se in tali frangenti la coscienza della persona resta vigile, ella rimane interiormente libera di dissentire da quello che il demonio fa e dice per mezzo del corpo che possiede;
  • nell’ossessione diabolica subita in un quadro di normale equilibrio psicologico, il demonio agisce da insolente suggeritore e sfacciato provocatore, ma la vittima resta sempre libera di assentire o di dissentire e, in ogni caso, mai è costretta ad agire contro la propria volontà, dal momento che è assente un controllo dispotico del corpo da parte del demonio.

In conclusione, nessuna persona, realmente vittima di un’azione diabolica straordinaria e che sia sana di mente e moralmente ben orientata (anche solo sotto il profilo della legge naturale), può giungere, sotto l’influsso straordinario del demonio, a compiere atti abominevoli come quelli riportati nella premessa.